Di Giovanni Morra
Il rap è la forma d’arte dei giovani che si nutre di ribellione ma soprattutto di aggregazione e spesse volte anche tra varie culture diverse.
Ora che il rap è diventato un fenomeno commerciale di massa e che i ragazzini vanno in delirio per questo tipo di musica, abbiamo deciso di dedicare un piccolo articolo al riguardo analizzando un pò più da vicino questo fenomeno mediatico che sembra non finire, ma bensì a crescere sempre di più. Infatti proprio il genere rap ha trionfato nel nostro ultimo evento, al “Contest Music Awards” e sono spesse le volte con cui collaboriamo con ragazzi che fanno rap. Il rap nasce come parte di un movimento culturale più grande chiamato “hip hop” nato negli Stati Uniti d’America verso la fine degli anni sessanta e diventato parte di spicco della cultura moderna. Il rap consiste essenzialmente nel “parlare” seguendo un certo ritmo; questa tecnica vocale è eseguita da un MC (freestyler), mentre il DJ (turntablist, beatmaking, scratching) accompagna l’MC. I quattro elementi della cultura hip hop sono il writing (graffiti), la breakdance, il Rapping o MCing e il DJing. Questa cultura è nata presso la comunità afroamericana e latinoamericana di New York nei primi anni settanta, come un riadattamento americano del DJ style, uno stile di reggae giamaicano ritenuto il principale precursore di questo genere. Tipicamente il rap consiste di una sequenza di versi molto ritmati, incentrati su tecniche come rime baciate, assonanze ed allitterazioni. Chi scandisce tali versi, cioè il rapper, lo fa su una successione di note (“beat”) realizzata tramite il beatmaking, suonata da un DJ e fornita da un produttore o più strumentisti. A partire dai primi anni novanta l’hip hop è diventato parte di molte classifiche musicali ed oggi è diffuso in tutto il mondo, in vari stili. Questo genere musicale ha varcato i confini delle produzioni underground per diventare di forte successo commerciale con grandi artisti. Ma sia a partire dagli Stati Uniti che in Italia resta vasta la presenza anche di produzioni indipendenti. Ciò dimostra come il rap sia sì un fenomeno musicale, ma soprattutto una componente di una cultura oramai radicata all’interno dei vari territori. Questo genere si divide in varie correnti, tra cui il gangsta rap, l’hardcore rap, il G-funk, l’alternative rap ed altri sottogeneri ancora. Per poter rappare, a differenza degli altri generi musicali, non è necessario possedere una voce eccellente. Molte canzoni rap assomigliano degli scioglilingua parlati molto velocemente. Le principali ere storiche dell’hip hop/rap sono la cosiddetta Old school hip hop (1970-1985), dagli esordi al debutto in mainstream, e la Golden age hip hop (1985-1993), in cui iniziarono a riscuotere successi sia il movimento East Coast che quello West Coast. Allora cominciò anche la storia moderna del genere, con la nascita di Gangsta rap e G-funk, di derivazione West Coast. Gli anni dal 1993 ad oggi riguardano l’hardcore hip hop, il “Bling-bling”, gli stili underground e i successi in ambito mainstream, che definiscono in larga parte l’hip hop moderno.
In Italia il rap si è tanto diffuso, diventando il genere musicale più immediato, più vicino ai giovani. È l’unico con un’attitudine indigena, ogni nazione ne sviluppa una particolarità. Violenza, volgarità e ironia, una società a ritmo di rap. Rime aggressive, testi misogini, esibizionismo, narcisismo: ma in fondo queste canzoni riflettono ciò che siamo diventati. Una sottile linea rossa. O di qua o di là. Spesso sia di qua che di là. Almeno all’apparenza. Il rap è violento? Sì. Incita alla violenza? Talvolta e spesso in modo inconsapevole perché, nell’era dei linguaggi metafisici, i codici espressivi che un gruppo sociale (ad esempio i rapper) ritiene inoffensivi rischiano di diventare intollerabili per altri. Il rap non è violenza ma (quasi) tutti i violenti musicali sono rapper. «Non te l’hanno detto che il rap è uno sport violento?» recita d’altronde il claim del nuovo disco di Marracash, che però poi ha precisato: «Il rap che mi piace non fa rima con violenza». Resta il fatto che questo genere musicale non è solo violenza o volgarità come molti potrebbero pensare, ma è musica soprattutto di denuncia, c’è chi fa della propria passione un modo per comunicare le proprie idee. Abbiamo voluto fare qualche domanda a chi il rap lo fa e cioè ai rapper emergenti della nostra regione e nello specifico nella provincia di Salerno. Di seguito le domande con le relative risposte ricevute da loro dopo avergli chiesto cosa cosa sia il rapper per loro: Chris Pironti in arte This Is Chris, come ti sei avvicinato a questo tipo di musica e quali sono i messaggi che di solito vuoi lanciare attraverso i tuoi pezzi?
Chris: Mi sono avvicinato al rap per gioco, scherzando con gli amici per strada e facendo le prime rime al volo (il cosiddetto freestyle)… in realtà però mi sono avvicinato alla musica anche prima perchè già componevo qualche base con il pc, poi un giorno senza nemmeno accorgermene scrissi la mia prima canzone e da lì nacque tutto. Nei miei testi si trovano soprattutto messaggi di speranza, l’incitamento al non arrendersi mai e a credere nelle proprie passioni e nelle proprie forze nella vita in generale. Cerco di dare dei consigli sullo stare sempre in guardia perchè il male è dappertutto ed è facile cadere nelle tentazioni, prendere strade sbagliate perdendo poi sè stessi. In più mostro un altro lato in alcune canzoni in cui in modo ironico faccio una critica a coloro che rovinano la musica perchè approcciano ad essa in modo superficiale magari solo con il fine di apparire.
Priscilla Sammartino in arte Pupetta, allora, nella socità odierna il rap si è molto radicato infatti ci sono molti artisti come voi con etichette indipendenti, per alcuni il rap è visto in malo modo musica volgare, tu cosa dici al riguardo, pensi sia vero? Tu sei diciamo l’unica rap emergente donna della provincia di Salerno, pensi che sia difficile per una donna fare rap oppure sia lo stesso e non c’è differenza tra i sessi nel fare rap?
Pupetta: Il rap nasce come protesta usa termini diretti ed espliciti nel raccontare ciò che ci circonda, ciò che si cerca di nascondere, quel che solitamente si vuole oscurare facendo credere che tutto sia rosa e fiori. Beh si può essere mal visto ma da chi è offuscato da steriotipi che la società odierna cerca di imporci e nel varcare schemi e confini, ecco che si viene definiti volgari.
È un arte, non inferiore alle altre, rappresenta una delle quattro discipline dell’Hip Hop , ha una sua storia, le sue caratteristiche e come ogni forma d’arte va rispettata.
Io non trovo alcuna differenza , non marco mai questo particolare proprio perchè per me risulta inesistente . Per il mio punto di vista, appunto, non esiste rap da uomo o da donna .
Il mio rap è sfogo è il voler parlare, parlo per gli uomini per le donne per i bambini per la mia città e sopratutto per me stessa, mettendo su foglio ogni cosa che al momento mi tocca psicologicamente che sia negativa o positiva .
Daniele Turturiello in arte Trt, molte volte capita che i big del rap snobbino un pò i ragazzi emergenti che fanno rap, credi ci sia differenza tra il rap underground e quello commerciale?
Tu fai rap da circa 4 anni e il tuo ultimo lavoro si intitola Celle Mentali, parla di una società chiusa. Credi che la musica rap possa aiutare ad prire le menti delle persone poichè è un genere sfrontato?
Trt: La differenza sostanziale tra mainstream ed undrground per me è negli intenti, i propositi dell’underground sono quello di diffondere un pensiero un idea un movimento fregandosene di cosa è più “swag”, andando dritto al punto della situazione. Il mainstream lo vedo più come un incanalare i propri concetti verso uno standard generico studiato a tavolino per coinvolgere tutti. Io sono per l’overgeound ovvero uscire dai confini dell’underground ma portando con se la propria personalità ma purtroppo non sempre si ha la possibilità di scegliere.
Per quanto riguarda il rapporto tra la nuova e la vecchia io non penso sia sbobbismo, o meglio alcuni ascoltano tanta roba anche di pessima fattura quindi è ovvio che siano un po più restii a cose nuove, altri che non hanno questo forte valore artistico e stanno li per motivi a me oscuri se la stanno facendo sotto perché stiamo arrivando forti giovani e belli come il sole.
Celle mentali è l’emblema di tutto quello che crea una prigione nella testa delle persone.
Io non so se il rap sarà tanto forte da abbatterle queste Celle ma, almeno personalmente, mi ha aiutato ad arredare la mia è già va più o meno bene, no?!
Ed infine Raffaele Frusciante in arte M – One, da pochi mesi gira il tuo singolo intitolato “con tutto il branco” e prossimamente dovrebbe uscire il tuo primo video sullo stesso brano, pensi che fare rap sia la forma più facile per fare successo tra i giovani e i tuoi amici in qualche modo ti aiutano in questo tuo cammino visto anche il brano a loro dedicato?
M – One: Il rap da parte mia non e fare successo fra i giovani, penso che sia una forma d’arte di di ritrovo per molti ragazzi, Il rap per me e soddisfazione personale. Mi sento pieno nel momento in cui la gente si rispecchia nella mia musica e nelle mie storie. Sicuramente i miei amici hanno svolto un ruolo cardine in quanto è da attribuire a loro il merito degli argomenti che tratto.
E con lui terminano le nostre interviste ad alcuni dei rapper emergenti della scena musicale Salernitana, che abbiamo incontrato per voi e con cui spesso collaboriamo. Con tutto ciò abbiamo tratto la nostra conslusione, il rap è un genere d’arte ma sopratutto una forma di movimento aggregativo è culturale, dove non ci sono differenze, diffusa in tanti luoghi, dove si esprime veramente quello che un artista pensa, quali sono i suoi valori, le sue idee, quello che gli fa schifo del mondo e tanto altro ancora. Non solo violenza ma anche aggregazione sana, scambi di idee e denunce a suon di note.